Il declino dell'Italia

Poca ricerca scientifica e formazione, crisi dell'export: un'analisi spietata, fatta di numeri e cifre, del declino italiano.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 24-11-2003]

Spesso ci si divide in Italia sulle idee e sulle ideologie, sulle persone, i personaggi, i personalismi e sulle trasmissioni, i processi e i giudici.

E' normale, si direbbe. Ma questo spesso stanca l'opinione pubblica. E' più difficile dividersi sui numeri, sulle cifre, sui dati statistici; non perché questi siano, di per sé, oggettivi e neutri ma perché bisogna portare altri dati e altre cifre, possibilmente credibili, per confutarli e contrastarli.

Un'analisi fatta di cifre e numeri, senza slogan ed idee preconcette, tutta dedicata al tema così attuale del declino economico e sociale dell'Italia è quella che Roberto Petrini, giornalista de La Repubblica, svolge nel suo libro, pubblicato da Laterza, Il declino dell'Italia. Anche noi limitiamoci a riprendere alcuni dati della sua precisa e particolareggiata analisi.

Alle radici del declino dell'Italia c'è, innanzitutto la crisi del nostro export, praticamente l'Italia non esiste nel settore dell'alta tecnologia. "Il problema vero è che con maglioncini e piastrelle l'Italia potrà fare ben poco di fronte alla concorrenza internazionale. La domanda mondiale di prodotti ad alta tecnologia dal 1980 alle soglie del nuovo secolo è una linea in continua crescita, al contrario la domanda di vecchi prodotti manifatturieri dalla metà degli anni Ottanta in poi segna il passo e comunque avanza più lentamente dell'high tech".

"Nel 1980 l'alta tecnologia rappresentava il 19,8% del commercio mondiale dei manufatti, alla fine degli anni Novanta rappresentava il 31,4%...L'Italia sul mercato mondiale degli impianti elettronici, palmari, telefonini, computer, microtelevisori e telecamere digitali non c'è...la nostra quota di questi prodotti è il 2,5% del mercato mondiale contro il 5,8% della Francia, l'8,8% della Germania, il 9,3% del Giappone, il 18,7% degli Usa."

Spesso si mette sotto accusa l'alto costo del lavoro italiano che danneggerebbe le nostre esportazioni ma non è vero: "Negli anni intercorsi tra il 1993 e il 2001, secondo i dati Istat, il reddito da lavoro dipendente pro capite in termini reali ha subito una riduzione in Italia del 3,4% mentre in Francia è cresciuto del 7,4% e in Germania dello 0,9%. Considerando il costo del lavoro orario nel settore manifatturiero, l'Italia si trova ad un livello significativamente più basso rispetto a Francia, Germania, Stati Uniti.

Non si tratta nemmeno più di un mercato del lavoro troppo rigido ed ingessato, come si diceva una volta: In Italia ci sono un milione e mezzo di lavoratori a tempo determinato, 74 mila lavoratori interinali o in affitto, oltre a 2 milioni e 400.000 Co.Co.Co. cioè 4 milioni di persone che, in un modo o nell'altro, non hanno più il cosidetto posto fisso....

L'Italia non ha dunque il problema di una manodopera troppo pagata e poco flessibile ma, semmai, non abbastanza istruita e formata: "Gli italiani che tra i 25 e i 64 anni possiedono un diploma sono il 43%, contro l'83% della Germania, il 64% della Francia e l'88% degli Stati Uniti ed emergono fenomeni come il forte abbandono della scuola secondaria superiore in zone ricche come il Nord Est. Negli ultimi 2 anni il trendi di crescita complessivo dei laureati ha registrato una diminuzione. Nel biennio 2000-2001 è stato del 2,6%(in valori assoluti 142.972 nuovi dottori), mentre nel biennio precedente era stato del 7,7%. Il tasso di abbandono successivo all'iscrizione all'università ci pone agli ultimi posti in Europa: solo il 42% degli iscritti sopravvive fino al diploma sospirato di laurea, contro il 59% della Francia e il 70% della Germania. Noi non importiamo nemmeno laureati anzi: in un recente pamphlet, Cervelli export, Claudia Di Giorgio ha calcolato che la percentuale dei laureati italiani all'estero è sette volte maggiore di quella dei laureati stranieri presenti nel nostro paese".

"Comunque in Italia la quota di adulti in età compresa tra i 25 e i 64 anni che hanno un'istruzione universitaria è del 10% mentre nella stessa fascia d'età, quella centrale nella forza lavoro, in Gran Bretagna, Germania, Francia è superiore al 20%, in Giappone è del 30%, negli Usa i laureati sono il 36%. Nel 1999 solo il 26% dei dipendenti delle imprese italiane private con più di 10 addetti aveva partecipato a corsi di formazione professionale. La media dell'Unione Europea è del 40%, del 32% in Germania e del 46% in Francia(Eurostat)".

"Nel 2001, secondo la McKinsey, abbiamo speso lo 0,21% del Pil per l'alfabetizzazione informatica contro lo 0,40% della Francia e lo 0,64% della Gran Bretagna, abbiamo 2,2 computer collegati ad Internet, ogni 100 alunni, contro la media europea di 4. Le imprese italiane spendono in ricerca e sviluppo una quota pari allo 0,54% del Pil, la media europea è dell'1,28%, la Francia spende l'136 e la Germania l'1,80(Rapporto Commissione Europea sull'innovazione)".

L'analisi di Petrini spazia poi dalle garanzie sociali alla politica, passando per la sicurezza, la moralità pubblica, i monopoli e la concorrenza, seguendo sempre lo stesso metodo: dove le cifre parlano da sole e sono molto, molto eloquenti.

Scheda
Titolo: Il declino dell'Italia
Autore: Roberto Petrini
Editore: Laterza
Prezzo: 14 Euro

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© RIPRODUZIONE RISERVATA

Pier Luigi Tolardo

Commenti all'articolo (3)

Pasquino
L' omicidio di una Nazione Leggi tutto
18-11-2004 01:15

Antonio
Tutto vero ma ... Leggi tutto
26-11-2003 17:37

Vincenzo Terreni
Scienze, un mito in declino? Leggi tutto
26-11-2003 07:37

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