Riuscirà la grande rete a risvegliare la partecipazione politica in Italia?
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 04-07-2003]
Molti tra i più giovani non hanno potuto conoscere e, quindi, non possono ricordare la mitica stagione della "partecipazione" negli anni '70 in Italia. Cominciò dalle assemblee permanenti nelle scuole e non nacquero consigli a tutti i livelli: di classe, di istituto, di distretto, di provincia scolastica che furono recepiti perfino in una legge diventata famosa e chiamata "decreti delegati".
Furono un fallimento: nell'organizzazione scolastica centralizzata di allora questi consigli erano organismi pletorici e superflui, non potevano decidere nulla sulla didattica, i programmi non avevano fondi e nemmeno discrezionalità su quando far fare la merenda, studenti e genitori disertarono le elezioni degli organismi fino a punte dell'80% di astensionismo. Oggi, con l'autonomia scolastica la partecipazione dovrebbe avere più senso ma pesa una concezione più manageriale della scuola, quasi fosse un'azienda.
Anche le aziende, negli anni '70, furono una grande occasione di partecipazione: non solo nelle fabbriche ma in enti pubblici. Perfino in orchestre e teatri nacquero i Consigli dei delegati sindacali, c'erano delegati che si facevano scrivere la carica sul biglietto da visita; i Consigli dei Delegati intervenivano su tutto, dalla pace nel mondo al modo in cui si fabbricavano le automobili e su quali libri si dovevano stampare, ma presto la divisione tra i sindacati riportò il potere contrattuale nelle mani dei gruppi dirigenti sindacali, formati da funzionari e distaccati a tempo pieno.
La partecipazione in quegli anni dilagò dovunque: nelle parrocchie venivano eletti i Consigli Pastorali formati da laici perché non fosse solo il prete a fare tutto, perfino i Vescovi si fecero affiancare da organismi formati addirittura da suore. Nelle caserme si formarono i Cobar (organismi di reggimento) ed i Cocer: anche chi portava le stellette non doveva solo obbedire ma anche poter dire il proprio parere.
Si formarono i Consigli Tribunali per lottare contro l'evasione fiscale ma, oggi, non pare più un tema di moda. La partecipazione inventò i Consigli di Quartiere, prima organismi spontanei di base, che discutevano dell'asilo nido o della mancanza di verde e servizi, poi furono istituzionalizzati e i partiti se ne riappropriarono facendone dei Montecitorio in miniatura, con difetti annessi e piccoli stipendi per i componenti.
Alla fine degli anni '80 di quella stagione immortalata dai versi dell'altrettanto mitica canzone di Gaber: "la libertà non è uno spazio libero, la libertà non è avere un'opinione, la libertà è partecipazione" rimaneva ben poca cosa.
Negli anni successivi la partecipazione prese la via del volontariato: associazioni fuori dalle istituzioni per l'assistenza sociale, l'impegno ambientalista, la protezione civile dove più che discutere, si fa. Oggi, la stagione è dei new global che con il loro spontaneismo, la loro informalità, il loro cercare la partecipazione democratica a livello globale come locale fanno rivivere gran parte dello spirito migliore di quella stagione.
Oggi, però, rispetto ad allora c'è Internet: la Rete con la sua forte interattività e partecipazione, con i newsgroup, le chat, i forum, le mailing list, le petizioni on line, i blog, i netstrike.
Nel frattempo la politica italiana sta conoscendo una deriva plebiscitaria e leaderistica: aldilà delle idee politiche, la volontà di arrivare ad una repubblica presidenziale che sancisca ancora di più il ruolo di un leader unico ha a che fare più con una cultura politica che esalta la delega al leader più che la partecipazione personale, magari con una concentrazione di potere politico, economico, di controllo dei mezzi di comunicazione sociale che non ha precedenti storici (se non forse nel socialismo realizzato dei Paesi dell'Est, Cuba compresa) come nel caso di Berlusconi.
Partiti personali in cui uno o pochi decidono per tutti è la realtà del nostro Paese e non lo dice solo Fausto Bertinotti ma anche un sociologo moderato, cattolico e non marxista, come Giuseppe De Rita, attento studioso della realtà del nostro Paese.
Può Internet risuscitare la partecipazione in politica? E come? Già i girotondi sono nati e si sono potuti sviluppare sul Web, un Web che fa nascere forme nuove ed insolite di aggregazione come quelli degli Usa dove, senza un motivo particolare, centinaia di persone si danno un appuntamento in un posto preciso via e-mail o blogs. Finora, non solo il Governo attraverso il Ministro Stanca ma anche l'opposizione ha pensato all'"e-government" come un sistema per ridurre la burocrazia, eliminare le code e le lentezze per il cittadino che deve intraprendere un'attività, farsi un documento, sposarsi o viaggiare.
Al massimo si pensa all'e-voto, con tutti i problemi legati alla riservatezza, ma manca un'ipotesi di un progetto dove la risorsa Internet venga messa al servizio della partecipazione, non solo in chiave di facilitare i sondaggi, tanto cari alla cultura leaderistica, ma di attivare la partecipazione, la capacità dei cittadini di determinare sempre più la propria solidalmente con gli altri.
Su questo terreno dovrà interrogarsi il nuovo Ulivo se vorrà interessare tanti cittadini, delusi dalla politica e presenti attivamente nella Rete, e non solo sugli organigrammi e su chi dovrà fare il leader.
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