In Rete si dibatte spesso l'annosa questione del digital divide che affligge l'Italia. Ma siamo sicuri che il problema reale non sia invece l'assenza di opportunità?
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 30-06-2010]
Da più parti ormai si prende atto del gap che si è creato tra l'Italia e il resto del mondo occidentale in merito agli investimenti nelle infrastrutture di rete.
Difatti le stime (come testimonia il rapporto della Fondazione Ugo Bordoni, disponibile in Pdf) circa il nostro ritardo tecnologico si fanno sempre più pesanti, specialmente se confrontante con gli investimenti di ingenti risorse che altre nazioni fanno nel comparto tecnologico e infrastrutturale.
Paradossalmente l'aspetto più critico non sembra tuttavia essere la mancanza di una infrastruttura di rete di qualità, ma più che altro la cronica assenza di opportunità che questo Paese impone ai suoi abitanti.
L'informazione, in questo meccanismo, ha anche le sue responsabilità, preferendo spesso assecondare le mode piuttosto che le sostanze.
Chi attualmente volesse sviluppare idee innovative, non possedendo risorse proprie per farlo, si troverebbe difronte a una scelta tra due possibilità: la prima è accedere a un credito bancario che oggi più che mai è disponibile nel piccolo solo a chi fornisca garanzie elevate che spesso non si hanno; la seconda è trovare imprenditori che, valutato un progetto, lo finanzino in toto.
Tuttavia questa seconda alternativa da un lato possiede evidenti limiti di protezione intellettuale, dall'altro sembra non essere una pratica esercitata dagli imprenditori del nostro Paese. Ed è così che, sempre più spesso, ancor prima che fuggano i cervelli sono proprio le idee ad avere la peggio.
In un intervento tenuto il Workingcapital Tour 2009 (il cui video riportiamo più sotto), Gianluca Dettori di dPixel affermava che i motivi predominanti della difficoltà, tutta italiana, di trovare idee innovative e vincenti sono principalmente tre.
In primo luogo c'è lo scouting di nuove idee che nel nostro Paese, salvo rare eccezioni, è veramente basso.
In secondo luogo bisogna constatare che chi ha una idea spesso non la sa trasformare in un business plan efficace.
E come terza motivazione, che non è certo ultima per importanza, vi è una differenza di mentalità tra un giovane laureato italiano rispetto ad esempio un suo coetaneo americano.
In America chi frequenta una università si pone in un'ottica imprenditoriale; al contrario in Italia chi sta per laurearsi o si è laureato pensa magari di più a un inserimento presso un'azienda e quindi a un lavoro da dipendente, ed è proprio in questo ultimo punto che risiede il problema: ciò che afferma Dettori è vero, e tuttavia ci si dovrebbe chiedere perché è così.
Che la formazione negli States sia differente dalla nostra non c'è dubbio, ma ciò non basta a giustificare lo scarso protendersi verso una propria imprenditoria che noi italiani abbiamo.
Il problema sta nel diverso tessuto imprenditoriale/legislativo su cui una tale iniziativa si fonda; riprova ne è che spesso si va all'estero per realizzarsi e realizzare le proprie idee.
Quindi possiamo sicuramente in futuro ridurre il nostro digital divide; tuttavia questo sforzo potrebbe essere vano finché non assisteremo a un cambiamento consistente del comportamento economico/politico e a un conseguente incremento di opportunità concrete nel nostro contesto.
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