Piccola analisi alternativa del prezzo dei CD

Ne Il Venerdì allegato a La Repubblica di venerdì 7 settembre 2001 compare un articolo sul caro-cd, ma i conti non tornano.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 12-09-2001]

Intendiamoci: l'articolo in questione, firmato da Alfredo D'Agnese, non afferma che i cd costino poco; tuttavia è immediato ravvisare qua e là alcune inesattezze.

Molto carino il grafico raffigurante un cd sezionato in spicchi colorati, rappresentanti le singole componenti di costo, la cui ampiezza è proporzionale al peso di ciascuna voce sul prezzo finale. Sono, è il caso di dirlo, le fette della torta. Però il prezzo finale non convince: 38.000 lire, valore medio. Vero è che tra ristampe economiche, offerte speciali e altro è possibile comperare cd a prezzi accessibili, ma il vero problema è rappresentato dalle ultime uscite: quasi impossibile trovarle a meno di 40.000 lire, salvo forse il caso dei supermercati (dove però la scelta è limitata al materiale più "commerciale" e gli sconti più interessanti riguardano spesso titoli fuori mercato, usati come articoli "civetta").

Ma anche considerando corretta la media indicata dal "Venerdì", ancora non ci siamo. Una delle fette della torta indica che, di quelle 38.000, se ne vanno in tasse 4.500: nel testo dell'articolo è spiegato che si tratta di quanto percepito dalla SIAE.

E l'IVA? Un rapido calcoletto ci informa che il 20% rapportato ad un prezzo finale di 38.000 ammonta a ben 6.300 lirette, quindi: o c'è un errore nel grafico, e la fetta (neanche tanto piccola) dell'IVA non è stata proprio rappresentata, o l'errore sta nel testo, e per "tasse" si intendono le vere e proprie tasse, cioè l'IVA, appunto. Ma in questo caso è errato il valore.

Dell'IVA, nell'articolo di D'Agnese, si parla per bocca di Enzo Mazza, direttore generale della FIMI (Federazione dell'Industria Musicale Italiana). Ovviamente, questi afferma che l'attuale aliquota è eccessiva, e che sarebbe auspicabile una riduzione, tenuto conto che quella applicata alle pubblicazioni su carta stampata, che la legge considera "cultura", è appena il 4%. Altrettanto ovviamente siamo del tutto d'accordo. Ci delude però il tono dimesso dell'affermazione di Mazza, il quale si augura una riduzione, ma non osa sperare che sia di così ampia entità. Ci aspetteremmo un atteggiamento più agguerrito, soprattutto perché da un abbattimento dell'aliquota IVA, e auspicabilmente del prezzo al dettaglio, a trarre vantaggio non saremmo soltanto noi acquirenti, ma anche i discografici che il dott. Mazza rappresenta.

Ancora, Mazza sostiene che non sia possibile un confronto tra il prezzo dei cd in Italia e quelli praticati sui mercati europeo ed americano, ma le argomentazioni addotte sono quanto meno opinabili. Infatti, se da una parte i prezzi italiani, contrariamente a quanto affermato, non sembrano affatto allineati alla media europea, dall'altra negli Stati Uniti è usuale acquistare le ultime novità a circa 13 dollari, qualcosa come 26.000 lire: il minore peso di tasse e diritto d'autore non basta a spiegare tale divario. Infatti, sottraendo alle solite 38.000 le 6.300 di tasse e le 3.000 che, nella "torta", rappresenterebbero il diritto d'autore, si ottiene 28.700. Ancora una volta i conti non tornano.

Ma le 3.000 lire attribuite al diritto d'autore sono una cifra esagerata. Stando alla fonte per eccellenza in materia, la SIAE, l'ammontare dei diritti percepiti dall'artista è pari a circa il 5% del prezzo del cd: più o meno 1900 lire (una cifra ridicola, ma spesso gli artisti, se affermati, percepiscono anche una quota per ogni cd venduto). Alla fine, vista la confusione sopra evidenziata tra tasse e spettanze SIAE, non si comprende quanto effettivamente questa intaschi per ogni cd venduto, oltre al diritto d'autore, che viene redistribuito ai titolari (e oltre al famigerato "bollino", che comunque dovrebbe incidere per una cifra di poco superiore alle 100 lire). E così, tra l'altro, si allarga ulteriormente la forbice tra prezzi italiani e statunitensi.

Del resto, il confronto con i mercati esteri si può forse evitare in una intervista, ma certamente non nella realtà, dove il processo di globalizzazione, voluto proprio dalle multinazionali, fa sì che sia possibile, facile e lecito acquistare beni anche al di fuori dei confini nazionali. Naturalmente, a tal fine, Internet rappresenta uno strumento eccellente: non stupisce più di tanto che nell'articolo la Rete sia elencata, insieme alla pirateria e ai masterizzatori, tra i guai che più di tutti gli altri affliggono le case discografiche. Internet covo di pirati, strumento di ogni nefandezza, madre di ogni pericolo per l'establishment; è storia trita e ritrita. Che la globalizzazione piaccia solo "a senso unico"? Piuttosto, è singolare che, tra i discografici italiani, nessuno (o quasi) voglia provare a considerare Internet quello che effettivamente è: una opportunità di enorme potenziale per fare affari d'oro. Anche con la musica, come, ad esempio, Vitaminic insegna.

Ancora dal sito SIAE, con pochi semplici calcoli, si trae che il rivenditore paga il cd qualcosa più della metà del prezzo al pubblico: approssimativamente 21.000 lire. Perciò, dal momento che egli deve corrispondere l'IVA all'erario, il margine (ricavo lordo, ben diverso dall'utile netto) su ogni cd venduto dovrebbe aggirarsi intorno alle 10.700 lire, una cifra significativamente superiore a quanto indicato nel grafico.

Leggi la seconda parte - Come può cambiare il prezzo dei CD se entra in scena la Rete

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