Le ragioni della crisi
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 30-03-2002]
Chi ha buona memoria, e qualche annetto sulle spalle, ricorda certamente che di crisi del disco si parla da oltre vent'anni: da quando, cioè, il "disco" per antonomasia era ancora il "padellone" in vinile e il CD si stava faticosamente conquistando un posticino al sole. Internet e masterizzatori erano belle fantasie da futuristi. Già allora, il pianto dei discografici allagava abbondantemente sale stampa e pagine di giornale: il diavolo si incarnava nelle emittenti private, che avevano la pessima abitudine di non trasmettere esclusivamente ciò che le majors avrebbero desiderato promuovere, e in tutti quei delinquenti che si registravano gli "LP", utilizzando piastre a cassetta dai nomi altisonanti e dalla fedeltà incerta.
Forse, buon sangue non mente, quelli erano proprio i genitori dei ragazzini hi-tech che ora masterizzano CD e si scambiano MP3 da una capo all'altro del pianeta, privando dell'ennesima Rolls i loro stessi idoli o qualche manager.
Ma se la crisi è così profonda, devono esserlo anche le sue radici: infatti, dalle origini, l'industria discografica non ha mai modificato il proprio "modello di business", dimostrandosi più tetragona dell'agricoltura, che, per forza di cose, è tra i comparti produttivi stabili per eccellenza. I discografici, da sempre, misurano la salute dei propri affari sul numero di pezzi di plastica venduti. Erano LP, ora sono CD, domani saranno forse DVD, ma nulla cambia: sempre di plastica si tratta, sempre di quantità vendute si parla.
Tutto questo, per il discografico, è roba da marziani. Perfino i concerti dal vivo e le apparizioni televisive degli artisti sono, in genere, organizzate dai loro managers: la casa discografica se ne occupa solo quando siano necessari per promuovere il CD appena uscito o di prossima pubblicazione. E così si ritorna al punto di partenza.
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1 - Una "brillante" idea dal Canada
2 - Le ragioni della crisi
3 - Davvero non c'è soluzione?
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