Il Parlamento europeo, alla fine, ha detto sì e approvato la Direttiva di riforma della disciplina europea sul diritto d’autore.

Si potrebbe dire che hanno vinto i titolari dei diritti d’autore e gli editori di giornali e hanno perso i giganti del web o – e qualcuno nelle prossime ore lo scriverà certamente – che la creatività e la cultura europee hanno prevalso sulla tecno-industria americana ma si sbaglierebbe.

In realtà, probabilmente, gli unici veri sconfitti sono i cittadini europei la cui voce – che pure si è levata forte almeno negli ultimi mesi – è stata ignorata e bollata dalle stesse Istituzioni di Bruxelles come il risultato di un processo di condizionamento mediatico di massa orchestrato dai giganti del web e, come tale, inattendibile.

Le ragioni di un giudizio tanto severo sono tante e diverse. Eccone alcune.

La Direttiva non sarà legge nei singoli Paesi dell’Unione prima della primavera-estate del 2021 il che, nell’economia digitale, significa un’era geologica. È tecnicamente impossibile dire oggi se, domani, le nuove regole saranno ancora utili a governare un fenomeno – quello della circolazione dei contenuti online – che realisticamente si presenterà con tratti sensibilmente diversi.

La Direttiva dovrà essere recepita in tutti i Paesi membri attraverso una serie di provvedimenti nazionali e complice la vaghezza e approssimazione della formulazione di una serie di disposizioni in essa contenute è facile ipotizzare che genererà ventisette leggi diverse, trasformando alcuni Paesi dell’Unione in “isole felici” per i titolari dei diritti e altri in “paradisi” per i gestori delle piattaforme con buona pace per l’ambizione europea a un mercato unico digitale.

La Direttiva è stata, purtroppo, approvata all’esito di un dibattito tanto rumoroso e chiassoso quanto poco rigoroso e scientifico con la conseguenza che, nella sostanza, non esiste un solo studio di impatto della nuova disciplina sul mercato editoriale e su quello dei contenuti creativi online: nessuno è in grado di dire quanto, effettivamente, gli editori di giornali guadagneranno di più, quanti editori di giornali continueranno a essere indicizzati dalle grandi piattaforme di aggregazione dei contenuti, quanti utenti si vedranno rifiutare l’upload dei propri contenuti perché il gestore della piattaforma non avrà un accordo di licenza con il titolare dei diritti su alcuni degli elementi utilizzati per la produzione del contenuto né quanti titolari dei diritti guadagneranno effettivamente di più grazie alle nuove regole.

Si è tradito uno dei più elementari principi democratici: conoscere per deliberare.

E non ci sarà da sorprendersi, dunque, se quando tra tre anni sarà, finalmente, possibile fare un bilancio, numeri alla mano, sugli effetti della Direttiva – che, oggi, per l’ultima volta, a Strasburgo, è stata presentata come una questione di vita o di morte per l’industria editoriale e quella dei contenuti – si scoprirà che gli editori, purtroppo, hanno raccolto solo qualche spicciolo, che i giornalisti continuano a essere sottopagati, che i titolari dei diritti che ricevono qualche euro in più da Google, Facebook & c. sono poche decine in tutto il mondo, che il livello di pluralismo dell’informazione online è crollato perché i piccoli editori non sono più indicizzati e aggregati e che piattaforme come Youtube si avviano a diventare, semplicemente – e tristemente – novelle grandi televisioni che “trasmettono” i contenuti di una manciata di editori.

A qualche ora dal voto definitivo e quando ormai il dado è tratto, c’è da augurarsi il meglio per l’Europa e, dunque, c’è da augurarsi che non succederà. Oggi, a microfoni spenti, non c’è nessuno tra gli sponsor della Direttiva che potrebbe, per davvero, dirsi certo che la nuova disciplina non sarà un fallimento, un flop, un nulla di fatto.

E non basta, perché, purtroppo c’è il rischio ed è concreto – nonostante lo si sia sin qui raccontato come uno “spauracchio” agitato ad arte dalle lobby dei big della Rete – che il livello di libertà di informazione online crolli al di sotto della soglia del democraticamente sostenibile perché, di fatto, è questo va detto senza reticenze, la Direttiva trasforma i gestori delle grandi piattaforme che sin qui hanno ospitato contenuti prodotti dagli utenti in editori e, quindi, lascia loro liberi di scegliere quali contenuti pubblicare e quali non pubblicare.

C’è da augurarsi di sbagliare e che abbiano ragione gli sponsor dell’approvazione della Direttiva nel liquidare queste preoccupazioni per la libertà di informazione come argomenti strumentalmente diffusi dalle lobby dei giganti del web.

E’ andata così, è democrazia anche questa e va rispettata anche quando conduce a conclusioni diverse da quelle che si sarebbero volute.

Ma che sia messo agli atti della storia che non è vero che chi ha sin qui detto di no alla direttiva non ha a cuore le sorti dell’informazione e della creatività, che non è vero che la proposta di direttiva non avrà nessun impatto sugli utenti e, soprattutto, che diritto d’autore e libertà di informazione sono facce di una stessa medaglia e sono entrambi diritti fondamentali mentre con l’approvazione della Direttiva si è scelto di super-preoccuparsi del primo e sotto-preoccuparsi del secondo.

Il tempo è galantuomo e non resta che attendere cercando, negli anni che verranno, di limitare gli effetti negativi delle nuove regole e esaltare i pochi positivi perché, a prescindere dal fatto che, sin qui, si sia fatto il tifo per l’approvazione della Direttiva o contro, oggi la Direttiva è una legge europea destinata a governare le nostra vita sul web, la nostra dieta info-mediatica, la nostra società e la nostra democrazia.

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