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mercoledì 1 maggio 2024

Il primo maggio è di Giuseppe

1° maggio: San Giuseppe Artigiano

Il primo maggio lo hanno inventato i lavoratori, non è chiaro quando ma più probabilmente nell'Ottocento e negli USA, durante le battaglie sindacali per le otto ore. Anche i lavoratori italiani cominciarono a festeggiarlo a fine secolo. La repubblica lo riconobbe come festa nazionale nel 1949, e a quel punto la Chiesa si pose il problema: cosa festeggiare? 

https://www.farebene.info/pio-xii-papa-acli/


Che non era affatto un problema futile od originale, anzi. Reinventare le feste è quello che la Chiesa ha fatto sin dall'inizio, prendendo una celebrazione ebraica (la Pasqua) e cambiandone il senso. Più tardi è successo con la festa del Sole Vincitore sulle tenebre, tre giorni dopo il solstizio d'inverno, divenuta il Natale di Gesù. Nel giro di qualche secolo quasi tutte le feste precristiane sono state trasformate in un qualche modo: si è salvato solo il Carnevale. Gli studiosi la chiamano inculturazione, ed è interessante notare che comporta sempre un compromesso con il rito pre-esistente: se nel tal giorno gli allevatori erano soliti sacrificare a un qualche dio gli agnelli che non aveva senso lasciar crescere, non valeva la pena di interrompere bruscamente l'abitudine: meglio insistere sul concetto che Gesù Cristo era l'agnello di Dio. Se i fedeli erano soliti inchinarsi al sole sorgente prima di entrare in Chiesa, inutile mettersi a litigare contro l'usanza pagana: meglio costruire le chiese orientate a oriente, così l'inchino l'avrebbero fatto davanti a Dio. Una fontana sacra poteva restare sacra: bastava consacrarla a Dio o a un santo che si degnava di apparire al pastore assetato. E così via. (Questo spiega anche l'aggressività della gerarchia cattolica nei confronti di Halloween, che in teoria sarebbe sempre Ognissanti: ma nel successo delle ritualità consumistiche che arrivano dal mondo anglosassone, i preti non possono non riconoscere un tentativo molto efficace di inculturazione. Hanno antenne lunghe per queste cose, che a noi laici sembrano sciocchezze ma che in effetti lasciano segni secolari e millenari).    

Come il Natale, come la Pasqua, anche il Primo Maggio doveva in un qualche modo venire assorbito dal cristianesimo: o meglio, la Chiesa doveva opporre alla liturgia socialista qualcosa di non troppo diverso, ma decisamente cattolico. Così San Giuseppe, che aveva già la sua giornata di rappresentanza il 19 marzo, fu convocato per la prima volta da Pio XII nel 1955, per un turno straordinario, in quanto San Giuseppe Artigiano. E pensare che non sappiamo neanche esattamente che lavoro facesse: il termine greco che compare nei Vangeli, tekton, poteva indicare un umile falegname ma anche un carpentiere o addirittura un impresario edile. La scelta di definirlo "artigiano", in un discorso pronunciato davanti ai rappresentanti delle ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani), indicava una precisa scelta di campo: più che alla classe operaia, Pio XII guardava ai professionisti, al tessuto di quella che oggi chiamiamo Piccola-Media-Impresa: un manto di orgogliosi imprenditori presso sé stessi, la maggior parte dei quali nel 1955 dovevano ancora estinguere il mutuo sulla casa e le rate sulla macchina, dopodiché sarebbero definitivamente divenuti refrattari a qualsiasi scossa rivoluzionaria.

Giuseppe non è l'unico né il primo santo del martirologio a essere ricordato come lavoratore. In Spagna per esempio ha un certo seguito Sant'Isidro, contadino: il quale però è famoso proprio perché, fermandosi ogni tanto a pregare, lavorava un po' meno degli altri (senza che il datore di lavoro riscontrasse un calo di prestazioni). Si trattava comunque di figure di secondo piano: Giuseppe era l'unico personaggio universalmente noto, che potesse meritarsi una giornata di astensione dal lavoro. Ma proprio mentre scrivo questa cosa mi viene in mente San Paolo di Tarso, che oltre a predicare si considerava un gran lavoratore (aveva probabilmente ereditato un'attività di produzione di tende dai genitori, che forse erano fornitori dell'esercito romano). Paolo, quello che ai Tessalonicesi che aspettando il ritorno di Gesù da un momento all'altro avevano smesso ogni attività, scrisse seccamente: Chi non lavora non mangia. Anche lui sarebbe stato un buon patrono dei lavoratori, ma Pio XII scelse Giuseppe. Tra tanti santi, proprio quello noto per non aver mai detto una parola: almeno nei vangeli, dove il datore di lavoro gli impone un matrimonio e poi un trasferimento in Egitto, insomma dispone di lui come un vero padreterno, e del resto lo è.

lunedì 29 aprile 2024

Caterina e l'anorexia mirabilis

29 aprile - Santa Caterina da Siena, dottore della Chiesa, patrona d'Italia (1347-1380).

Tiepolo

[2012] Caterina Benincasa è la patrona d'Italia che gli italiani non conoscono. La schiaccia il confronto con la popolarità trasversale dell'altro patrono, Francesco d'Assisi, al punto che fuori da Siena molti la confondono con Chiara, l'amica e confidente di Francesco e fondatrice delle Clarisse. Caterina invece è tutta un'altra storia, un altro ordine (le domenicane mantellate), un altro secolo (il quattordicesimo), un altro mondo che non conosciamo altrettanto bene, forse non lo conosciamo poco. Per dire, la Rai non ci ha ancora fatto una fiction. Una fiction non si nega a nessuno, Filippo Neri ne ha avute già due. Caterina ancora niente, c'è solo un film del 1957 che nessuno ha più voglia di guardare, tant'è che su Youtube è gratis. Uno pensa: per forza, è una contemplativa, non c'è niente da raccontare. Non è proprio così. Caterina una sua storia ce l'ha. Persino appassionante, ma un po' deprimente, ecco.

Tanto per cominciare, Caterina è figlia della peste nera, l'epidemia più orribile mai abbattutasi sul continente. Questo però spiega solo fino a un certo punto un dettaglio singolare della sua biografia, l'avere avuto cioè 24 tra fratelli e sorelle. Per molte famiglie la prolificità fu un modo di reagire a un morbo che svuotò interi villaggi e quartieri (a Firenze la popolazione si ridusse forse di più della metà, ma il giovane Boccaccio se la cavò e più tardi ci ambientò il Decameron). Ma quando arriva la peste Lapa Benincasa di figli ne aveva già messi al mondo 24: metà erano morti in giovane età, cosa perfettamente in linea con le statistiche (morì subito anche Giovanna, la sorella gemella di Caterina), ma per gli standard dell'epoca la famiglia era comunque numerosa.




Questo non significa che Caterina fosse destinata al chiostro per risparmiare i soldi della dote, come qualche malizioso lettore sta già immaginando. Va bene, lo abbiamo letto tutti Manzoni, ma molto spesso nelle vite delle sante si presenta l'esatto contrario: la famiglia vorrebbe destinare la figlia riottosa al matrimonio, e lei non vuole. Del resto giudicate voi, tra una vita di castità e meditazione e una spesa a rincorrere una decina di pargoli nella contrada dell'Oca, quale fosse la più attraente. Il caso della 16enne Caterina è reso più drammatico dal fatto che il promesso sposo fosse il vedovo della sorella più grande, Bonaventura. Caterina aveva cominciato a vedere Gesù a cinque anni, e aveva fatto voto di castità a sette, ma soprattutto aveva assistito all'agonia della sorella, morta di parto, e non doveva avere molta stima per il cognato. Memore dell'esempio di Bonaventura, che per punirlo delle sue scarse attenzioni si infliggeva lunghi digiuni, Caterina rifiutò di mangiare finché i genitori non cedettero e il matrimonio andò a monte.

Il disturbo alimentare di Caterina, quello che gli studiosi oggi chiamano anorexia mirabilis, nasce in questa situazione: Caterina non possiede nemmeno il suo corpo, ma sa come tenerlo in ostaggio, e detta le condizioni. Si taglia i capelli ed entra nelle domenicane, ma come terziaria, restando dunque nella casa dei genitori. Impara a leggere e a scrivere: le sue opere di misericordia e le sue prime lettere ai potenti del mondo attirano l'attenzione, chi è questa ragazzina che tratta i grandi uomini alla pari? I domenicani, che per farla entrare in un ordine di solito riservato alle pie vedove hanno chiuso un occhio, temono uno scandalo e la invitano al Capitolo Generale di Firenze per interrogarla. Là Caterina fa l'incontro che le cambia la vita: Raimondo da Capua, dottore in teologia, a cui la ragazza prodigio viene affidata una volta certificata la sua ortodossia. In principio diffidente, Raimondo imparerà ad apprezzare le doti di Caterina, soprattutto dopo essersi salvato dalla nuova ondata epidemica del 1374, racconta, grazie alle preghiere di lei. Raimondo sarà per tutta la sua vita il confessore di Caterina, il suo manager, e dopo la morte il suo biografo. Chissà se senza questo sodalizio con la santa avrebbe fatto tanta carriera.

Nel 1376, a 29 anni, Caterina è la protagonista di una missione diplomatica toscana ad Avignone: si tratta di convincere il Papa (a cui aveva già scritto tante lettere) a tornare a Roma, dopo 70 anni di cattività, e già che c’è a bandire una crociata. La crociata è un chiodo fisso di Caterina: l’unico mezzo per fare la pace nella cristianità, esportando la guerra al di là del mare. La missione è in parte politica, in parte propaganda: papa Gregorio XI sta già pianificando il suo arrivo in Italia, ma vorrebbe prima stroncare la Repubblica di Firenze, che guida la rivolta delle città pontificie anche dopo che il Papa ha scomunicato i suoi governanti e (cosa ben più grave) dichiarato decaduti i crediti dei suoi banchieri. Caterina e Raimondo vengono a offrire la pace, ma Gregorio non si fida del tutto e i fatti gli daranno ragione. D’altro canto, Caterina è già famosa in mezza Europa come mistica e taumaturga: può un Papa dirle di no? Ad Avignone Gregorio XI la riceve con mille onori, e intanto la fa pedinare: ma le sue spie non trovano nessuna ragione di scandalo.


Benvenuto di Giovanni: Il ritorno a Roma di Gregorio XI (scortato da Caterina, che in realtà prese una strada diversa).

Io sono un maschio del XXI secolo, non posso fare moltissimo per modificare questa mia impostazione, e così non posso impedirmi di pensare che con Caterina Gregorio parlasse di mistica e di crociate immaginarie, e con Raimondo di cose pratiche, del tipo: cosa offre Firenze? Cosa vuole in cambio? Forse è questo il problema con Caterina, che rende la sua storia più difficile da raccontare di quella di Francesco e di altri. È una donna di 29 anni, che tratta con gli uomini, nel XIV secolo. Posso anche accettare che sapesse scrivere meglio di tutti, (c’è chi continua a pensare di no, che dettasse soltanto), ma che facesse politica… non ce la faccio, chiedo perdono, non mi sembra plausibile: trovo più verosimile persino Giovanna d'Arco che vince le battaglie in testa a una cavalleria di uomini. Quando nel 1940 Pio XII la proclama patrona d’Italia, è facile che avesse in mente proprio una specie di Giovanna d’Arco italiana, meno inquietante perché non prende mai in mano la spada, al massimo digiuna: però la situazione è simile, una ragazza che salva la patria dalle manacce degli uomini (ovviamente per Pio XII salvare la patria consisteva nel riportare il Papa a Roma). Un motivo simile avrà portato Giovanni Paolo II a promuoverla patrona d’Europa, ma l’Europa di patroni ne ha tanti (Benedetto, Cirillo, Metodio, la Madonna del Rosario, e altri che non so) e probabilmente quando si incontrano litigano, stavolta ci incontriamo nel cielo sopra Bruxelles o nel cielo sopra Strasburgo? Cirillo probabilmente esige la traduzione simultanea di tutti i discorsi in paleoslavo, un casino. Tanto alla fine della fiera comandano i tedeschi, per lo più luterani: con loro, come dire, non ci sono santi. Ma stavamo parlando della missione mistico-diplomatica di Caterina.

Ha successo. Il più grande successo della sua vita. Quando finalmente scriveranno la fiction su Caterina, questo sarà il momento in cui suoneranno le campane, partirà la canzone, qualche bambino piangerà, e anche qualche omaccione, sì, a fare Raimondo chiameranno qualche attore molto bello e in questa scena gli spruzzeranno le lacrime finte. Sulla strada del ritorno Caterina guarisce i malati, stronca la peste di Varazze, ormai è una santa in terra. Nel mondo dei maschi, intanto, le cose vanno come sempre a rotoli. I fiorentini decidono che dopotutto la guerra continua. Da Roma, la Roma cadente in cui Gregorio si è appena reinstallato, il papato manda Raimondo in ambasciata, poi Caterina; i fiorentini reagiscono dando fuoco alle proprietà dell’ordine domenicano. Caterina reagisce alla sua maniera: smette di mangiare. Nel frattempo Gregorio muore: questo ritorno a Roma non gli aveva portato molta fortuna dopotutto.
La testa di Caterina è a Siena
(anche un suo dito).
Il corpo è a Roma, meno un piede
che è a Venezia e una costola,
 attualmente in Belgio.

Il conclave è un disastro. Quando capiscono che l’orientamento dei cardinali è quello di nominare un francese – un altro? I romani assalgono il collegio al grido “Romano lo volemo – o almanco italiano”. Terrorizzati, i porporati scelgono un napoletano, Urbano VI, persona competente ma non molto diplomatica, pentendosene quasi subito: qualche mese dopo la maggioranza di loro si ritrova a Fondi, tra le paludi pontine per nominare un ginevrino gradito al re di Francia, Clemente VII. Quando lo scopre, Urbano ovviamente scomunica tutti. È lo scisma d’Occidente, e si consuma davanti agli occhi di Caterina: proprio lei che per anni aveva messo in guardia il vecchio Papa dal pericolo di uno scisma, se si ostinava a restare ad Avignone. Lei prende il partito di Urbano, dichiara i cardinali di Fondi “diavoli incarnati”, e continua a digiunare, una Gandhi antilettera. Quando Raimondo parte per una missione a Parigi, lo saluta consapevole che non si vedranno più. Muore a 33 anni: le stimmate, che aveva ricevuto anni prima, diventano visibili soltanto dopo la sua morte (l’esatto contrario di quel che è successo a Padre Pio). Raimondo diventerà presto Maestro generale dell’Ordine domenicano; lo scisma proseguirà per 40 anni, dividendo l’Europa occidentale tra osservanza romana e avignonese, con papi antipapi e scomuniche incrociate. Su questo in una fiction credo che sorvolerei, ma per fortuna non scrivo le fiction (per fortuna di chi le guarda, intendo: massimo rispetto a chi scrive le fiction).

Caterina è anche una grande scrittrice, passionale e sanguigna, che pochi leggono: il suo genere, la mistica, non è esattamente per tutti. Duecento anni prima di Teresa d’Avila, in Caterina ci sono già le estasi e i viaggi interiori, tanto da far pensare che il barocco sia una questione di genere più che di secolo. Io resto un maschio del XXI secolo (cresciuto tra l’altro nel secolo precedente), e a leggere certe cose mi impressiono: quando scrive a Raimondo che desidera “vederlo affogato e annegato nel sangue dolce del Figliuolo di Dio”, non so cosa pensare; basta voltar pagina perché il sangue di Cristo diventi sangue vero, quello di un condannato a morte di cui Caterina si prende cura nelle sue ultime ore, dicendogli cose così: Confortati, mio dolce fratello, che presto andremo alle nozze: tu ti bagnerai del sangue dolce del Figliuolo di Dio, e io ti aspetterò nel luogo della giustizia. E va davvero ad aspettarlo là: per immedesimarsi mette il collo sul ceppo; nel frattempo “prega e costringe” Maria a ottenere giustizia per l’uomo. A quel punto sente una punta d’invidia: tra pochi minuti il galeotto salirà in cielo e gusterà il dolce sangue di Cristo, mentre lei resterà in terra a occuparsi di cose terrene, politica e diplomazia con risultati non sempre soddisfacenti. E quando lo decapitano, lei riceve la testa nelle mani, esclamando “Io voglio”. L’odore di sangue la inebria, non ha intenzione di lavarlo via.

Poi egli gionse, come uno agnello mansueto, e, vedendomi, cominciò a rìdare, e volse che io gli facesse el segno della croce; e, ricevuto el segno, dissi: Giuso alle nozze, fratello mio dolce, ché testé sarai alla vita durabile! Posesi giù con grande mansuetudine, e io gli distesi el collo, e chinàmi giù e ramentàli el sangue dell’agnello: la bocca sua non diceva, se non «Gesù» e «Caterina», e così dicendo ricevetti el capo nelle mani mie, fermando l’occhio nella divina bontà, dicendo: Io voglio!

[…] Risposto che fu, l’anima mia si riposò in pace e in quiete, in tanto odore di sangue che io non potei sostenere di levarmi el sangue, che m’era venuto adosso, di lui. Oimè, misera miserabile, non voglio dire più: rimasi nella terra con grandissima invidia.


domenica 28 aprile 2024

Pierre Chanel e la danza del martirio

28 aprile: San Pierre Chanel (1803-1841), patrono dell'Oceania


C'è una danza che a Tonga si impara a scuola, una coreografia in cui uomini e donne si danno il ritmo picchiando i bastoni che impugnano. Si chiama Soke o Eka e proviene dall'isola di Futuna, da cui molti abitanti arrivarono a Tonga tra Otto e Novecento portando con sé, oltre alla danza ancestrale, il cattolicesimo a cui si erano convertiti nel 1842. Gran parte delle parole che si cantano sono incomprensibili da generazioni; tuttavia a un certo punto si accenna a due "gentiluomini" che sbarcano sull'isola con l'arcobaleno alle spalle. Gli antropologi non hanno ancora capito se si tratta di una danza di guerra (si fa coi bastoni) o di fertilità (i due gentiluomini potrebbero aver portato l'agricoltura a Futuna). I padri maristi, dal canto loro, la tagliano corta: la Soke sarebbe stata inventata dai futunesi per ricordare il martirio di Pierre Chanel, patrono dell'Oceania, nel 1841: sarebbe dunque una danza di memoria e di espiazione, perché Pierre Chanel l'ha ucciso un futunese, Musumusu. Prima di convertirsi. 

Benché sin dai tempi del seminario Pierre Chanel avesse sognato di fare il missionario in isole lontane, inizialmente la parrocchia più esotica che il vescovo di Belley potesse offrirgli era un sobborgo di Ginevra, comunque quasi a quaranta km dalla casa dei genitori. E quando i genitori stessi si presentarono dal vescovo a protestare, Pierre tranquillizzò il vescovo con un'affermazione che può lasciare perplessi: "Quanto più mi avvicinassi ai miei genitori, tanto più mi allontanerei dal buon Dio". I genitori di Pierre erano buoni cristiani, ma per Pierre Dio era da cercarsi il più possibile lontano da casa, e alla fine la spuntò: proprio all'ordine a cui si era aggregato (i padri maristi), fu offerta l'opportunità di evangelizzare le isole più sperdute della Polinesia occidentale, prima che vi arrivassero i protestanti.
 
Pierre faceva parte della prima squadra che partì nel 1837 dalle Havre su un bastimento che per arrivare nel Pacifico doveva doppiare Capo Horn. Dopo uno sfortunato tentativo di insediarsi nell'arcipelago delle Tonga, Pierre sbarca nell'isola di Futuna, dove per un po' la situazione sembra promettente: uno dei due re che si spartiscono l'isola, Niuliki, prende Pierre sotto la sua protezione e sembra incuriosito dall'atteggiamento mite del sacerdote. Probabilmente spera che tenendolo vicino a sé potrà ingraziarsi i francesi e in generale gli europei che ogni tanto fanno scala presso l'isola. Pierre da parte sua adotta un atteggiamento di estrema apertura, risparmiando agli indigeni lezioni di morale e mostrando la condotta cristiana soprattutto con l'esempio. È un approccio moderno che però all'inizio non sembra funzionare: mentre nella vicina isola di Wallis il collega sta già battezzando centinaia di fedeli, a Futuna il cristianesimo stenta ad attecchire. Pierre fa quello che può, cerca di essere gentile con tutti, e imparare qualche parola al giorno. Le annota su un taccuino che diventerà la sua pubblicazione più importante, un tesoro inestimabile per gli oceanisti; ma prima dovrà ovviamente morire. 

Col tempo Niuliki diventa diffidente; forse gli giunge notizia di altre isole dove il cristianesimo ha soppiantato le religioni tribali e messo in crisi i re autoctoni. Nel frattempo un suo figlio che frequenta troppo Pierre ha deciso di battezzarsi. Così nell'aprile del 1841 Niuliki cede all'insistenza del suo vicario Musumusu, che guida un commando alla missione di Pierre. Sorpresi al sorgere del sole, i catecumeni vengono malmenati; Pierre, ferito mortalmente a un braccio e alla testa, continua a ripetere "malie fai" ("bene per me") finché Musumusu, indispettito, non gli fracassa la testa con una zappa. I suoi resti vengono sepolti in una fossa semplice, ma ora che è morto il prete sembra dare più fastidio che da vivo.

L'assassinio è avvenuto davanti a troppi testimoni, prima o poi i francesi ne verranno informati: come la prenderanno? Quando i francesi effettivamente arrivano (ma è già il 1842), scoprono che la maggior parte dei futunesi è già pronta a convertirsi: tra loro Musumusu, che chiede di essere sepolto davanti alla porta della chiesa, affinché i cristiani lo calpestino se vogliono entrare. Per i credenti, è l'ennesima dimostrazione di come la fede fiorisca dal martirio: per gli storici, un tentativo di ingraziarsi la potenza europea già intravista come egemone, acuito dall'eterna rivalità tra i due regni in stato di guerra perenne. In uno dei luoghi al mondo più lontani dalla casa dei genitori, Pierre Chanel è divenuto il primo martire cattolico della Polinesia (per ora anche l'unico) e il patrono di tutto il continente oceanico. Se di solito i martiri ispirano quadri e sculture, Pierre è probabilmente l'unico a poter vantare di aver ispirato una danza tribale. A dirla tutta aveva anche dato il nome a un vino neozelandese, finché i padri maristi che lo producevano non hanno perso una causa con l'omonima griffe francese, che aveva deciso anche lei di produrre bordeaux. 

giovedì 25 aprile 2024

La stella a sei punte, e chi la fischia


Quel minimo non dico di saggezza, ma di astuzia che avrei dovuto metter da parte in tanti anni che scrivo in pubblico, mi suggerisce di aspettare che sia la sera di questo 25 per scrivere qualcosa; perché anche se tira un'aria tremenda, come non si sentiva da vent'anni, può persino darsi che non succeda niente. O se lungo un corteo succede qualcosa, e qualcuno in strada ci rimane, dipenderà molto da che bandiera portava. Qualcuno qui si ricorderà di Genova, e di quanto sarebbero state diverse le cose se invece di cadere il ragazzo fosse caduto il poliziotto. Dunque sarebbe meglio aspettare, che non c'è nessuna fretta alla fine. Sì.

2015

Scrivo comunque qualcosa. Che al 25 aprile molti vadano per litigare è cosa nota, più o meno dallo spaventoso diluvio del 1994 (prima una festa antifascista non dava così fastidio, o forse un certo fastidio sentiva da solo la necessità di contenersi). Col tempo è inevitabile che anche un certo tipo di provocazione diventi parte della celebrazione: ad esempio almeno a Milano i fischi alle bandiere della Brigata Ebraica sono ormai parte della liturgia. Mi sembra di avere già annoiato qualche lettore sull'argomento: la Brigata Ebraica non fu propriamente un gruppo partigiano, ma un'unità delle forze armate britanniche che combatté in Italia nel 1944/1945, composta da circa 5000 volontari dell'Organizzazione Sionista Mondiale, perlopiù provenienti dalla Palestina Mandataria. Non tantissimi, ma molte bande partigiane erano anche più piccole. Che senso ha fischiarli? In Italia in quegli anni combatterono indiani e brasiliani e non credo che nessuno fischierebbe una bandiera indiana o brasiliana; ma non credo nemmeno che nessuno senta la necessità di sventolarla. Chi porta in corteo quella bandiera (molto simile a quella di Israele, al punto che è inevitabile confonderla), vuole ribadire il concetto che il sionismo è una forza antifascista, e collaborò alla liberazione dal nazifascismo. Il che è legittimo. Chi fischia quelle bandiere sta obiettando al concetto: il che è sempre stato altrettanto legittimo, vista la situazione dei Territori Occupati; e lo è molto di più quest'anno, dopo la tragedia di Gaza. 

Tutto questo è ormai da anni un gioco delle parti: chi viene con la bandiera della Brigata (o con la bandiera di Israele) si aspetta di essere fischiato, e ci tiene che i fischi vengano il più possibile amplificati in tv, e forse è questo è un po' più grave dei fischi: il modo in cui un'esperienza nobile come quella dei volontari sionisti contro il nazifascismo viene annualmente strumentalizzata da un po' di gente che vuole semplicemente litigare il 25 aprile; questo perenne impugnare Israele e il sionismo come un pretesto per polemiche che con Israele c'entrano poco o niente, e che finirebbero per danneggiarne la reputazione, se Netanyahu gliene avesse lasciata una. Alcuni sono radicali e vabbe', coi provocatori professionali è inutile discutere. Alcuni saranno ebrei e posso capire che la presenza sempre più massiccia di bandiere palestinesi li sgomenti. Ma questa è la situazione: ottant'anni fa il sionismo era un movimento che combatteva attivamente contro l'occupazione nazista, oggi è l'ideologia che ha trascinato Israele nella catastrofe morale di Gaza. 

In questi giorni chi non perde tempo a leggere i giornali italiani ha saputo che tutte ormai tutte le grandi nazioni europee (l'Italia no) hanno riaperto i finanziamenti all'UNRWA, visto che Israele non riesce in nessun modo a provare che si tratti di un'organizzazione terroristica; nel frattempo le stragi di civili proseguono, e l'IDF apre le fosse comuni alla ricerca dei cadaveri degli ostaggi che non ha mai dato l'impressione di rivolere vivi. Chi sventola una stella di David, oggi, volente o nolente, sta mettendo sotto il naso alla gente il simbolo di questo sionismo; non quello che diede il suo contributo contro la lotta nazifascista. I simboli non sono neutrali, una bandiera italiana nel 1848 non significava la stessa cosa che nel 1936 o nel 2024. Non è responsabilità di un comitato antisemita se oggi una bandiera israeliana, agli occhi di una discreta fetta della popolazione mondiale, rappresenta un governo e un esercito razzista e genocida. Una trappola è scattata, potremmo discutere a lungo su chi l'ha tesa a chi: ma è scattata, e oggi il sionismo è un'ideologia odiosa persino a diversi ebrei in tutto il mondo. E sarà così ancora per molto, per quanto tempo? Credo che dovremo attendere almeno una generazione: quella che oggi impugna le bandiere si è raccontata troppe bugie per poterle rinnegare. L'unica speranza è che non abbiano educato con troppa attenzione i loro figli.

martedì 23 aprile 2024

Antiabortisti, è primavera

 


Anti abortisti, non siate così tristi, 
c'è tanta vita fuori, nei prati tanti fiori,
nei parchi tanti amori.
Ma che ci andate a fare,
nei consultori?

Scegliete la vita,
mangiatevi una pita, 
o un gelato, non è un peccato.

Ballate forte, sentite il ritmo, nella notte
Lasciate i dubbi, guardate in alto, toccate il cielo,
Ascoltate il cuore, splende il sorriso, è un nuovo giorno.
Muovete i passi, al suono dei tamburi, vibra l'amore.
Danze nel vento, girate in tondo, l'eco del tempo,
Celebrate la vita, tra note e risate, in ogni angolo.

Antiabortisti, non siate così tristi,
lasciate le polemiche, nessuno ama le prediche, 
là fuori il mondo è in fiore, provate a far l'amore,
se non ne siete esperti, beh
i consultori sono tutti aperti.
I consultori sono ancora aperti.

lunedì 22 aprile 2024

Dodici lettere, la prima è A


Stavo pensando di copiaincollare anch'io il monologo di Scurati; ma ho aspettato qualche ora e nel frattempo è rimbalzato in lungo e in largo. Anche se resta l'impressione che una volta in più il dibattito sia fuori fuoco, che si parli più del tentativo di censura (maldestro, come tutto quello che fa questo governo) che di quello che Scurati ci stava dicendo. 

Scurati ci sta dicendo che Matteotti fu ucciso dai fascisti, e sembra scontato; che Mussolini ne fu il mandante, e crediamo che sia un dato acquisito; che fu complice attivo di tutto l'orrore nazista, e che la cricca al governo queste cose fa proprio fatica ad ammetterle. Il che lo stesso Scurati ha potuto dimostrare proprio in questa occasione; forse è dai tempi di Galileo che a uno scrittore italiano non riusciva così rapidamente un esperimento.  

Scurati scrive: "Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell'ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via". Questa cosa forse ormai è più curiosa che importante; ma resta parecchio curiosa. Pensate a quante cose aa Meloni ha dovuto rinnegare per montare sulla seggiola dov'è adesso. Parlava di uscire dall'Euro, e ora fa carte false per ottenere i fondi UE. Faceva l'occhiolino a Putin, e ora è sdraiata sulla linea della Nato. Poi, certo, su tante cose è coerente; ma il sospetto è che se i sondaggi le dicessero che gli italiani vogliono più forza lavoro dai Paesi in via di Sviluppo, lei andrebbe ad abbracciare i migranti sulle spiagge, è fatta così. Non dico che rinnegherebbe sua madre, o perlomeno non riesco a immaginare una situazione in cui rinnegare sua madre potrebbe darle un vantaggio. Di parole ne ha dette tante, tutti ne dicono tante, ma ce n'è una sola che non riesce a pronunciare anche se le converrebbe da tutti i punti di vista, e quella parola è A....

An.....

Antifa....

Niente, non ce la farà. Tizi apparentemente più scafati di lei ce la fecero; bisogna anche ammettere che sulla seggiola ci si è seduta lei, e non loro. 


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