Tornano i "Banchieri di Dio", tra fondi cristiani e fondi islamici. Ma un fondo d'investimento non può essere anche "etico".
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 26-07-2007]
Un aspetto trascurato dalla new economy è sicuramente il rapporto tra la religiosità espressa o latente dei fedeli di un qualsiasi culto e l'agilità con cui il mezzo informatico può proporsi quale intermediario tra la vil moneta e il desiderio di trascendenza. Hanno brillantemente colmato la lacuna alcuni banchieri svizzeri, ai quali evidentemente non fa difetto la fantasia.
Ovviamente per essere veramente redditizio il campo da sfruttare doveva avere dimensioni almeno paneuropee se non addirittura planetarie, lasciando ad altri le scorie di un recente passato quale lo IOR o le raccogliticce quisquilie derivanti dal nostrano 8 per mille e dalle miserie dei vari Istituti Diocesani per il Sostentamento del Clero, capitali del resto da sempre affidati in gestione a banche e banchieri d'oltre oceano.
Così il Crédit Suisse, seconda banca elvetica per importanza, si è inventata una sorta di ecumenismo monetario, prima annunciando in primavera un "fondo islamico" e ora proponendo un analogo fondo ma stavolta espressamente cristiano, tant'è che è stato denominato Christian Values Fund.
Poco credibile la scelta di facciata sulle società rappresentate nel Fondo; si dice ne siano state escluse 700 - circa un quarto tra quelle prese in considerazione - perché in qualche modo "contrarie alla morale"; ma immaginare l'esistenza di un fondo etico d'investimento è sicuramente un'antinomia.
Più realisticamente, possiamo immaginare che abbia prevalso il desiderio di evitare gli attacchi dei concorrenti, accogliendo nel fondo giganti come Nokia o Citigroup, noti per l'impegno nella difesa dell'ambiente e sperando in un favorevole riflesso pubblicitario.
E' possibile accedere al fondo, composto per 2/3 da obbligazioni e solo per 1/3 da titoli azionari, già con un centinaio di euro; la resa pare si aggiri sul 5% al lordo di tasse e spese, il che la porterebbe circa allo stesso livello dei nostri investimenti in titoli di Stato.
Comunque né le pretese finalità di difesa dei valori cristiani, né i controlli semestrali sulla redditività degli investimenti effettuati dall'Università Vaticana Pontifical Athenaeum Regina Apostolorum, né l'avere escluso aziende specializzate o coinvolte in pornografia, traffico di alcool, droga o armi (o forse proprio a causa di ciò) pare aver stimolato gli investitori, specie quelli istituzionali.
Si parla infatti di una raccolta prevista in "soli" 45 milioni di euro, mentre sembra sia tutta un'altra musica per l'analogo fondo islamico Al-Buraq, che - lanciato in maggio secondo le regole della Shariah e costituito interamente da azioni - pare abbia già materialmente raccolto circa 43 milioni di dollari con proiezioni che gli assegnano un rendimento medio annuale di circa l'8%.
Non bisogna dimenticare inoltre che il giro d'affari delle banche islamiche nel suo complesso ed escludendo le somme congelate o sequestrate a vario titolo, ammonterebbe ad almeno 500 miliardi di euro secondo una recente stima di Standard & Poor's e registrerebbe un incremento di circa dieci punti annui anche in ragione della crisi petrolifera e della crescente richiesta di energia da parte dei Paesi emergenti.
Considerato in quest'ottica sia pure non raffinata, lo scenario diventa assai più comprensibile e quasi obbligatoria la comparsa una nuova edizione dei "banchieri di Dio"; solo che stavolta - ci si passi il gergo informatico - la "localizzazione" sarà solo un concetto astratto, una sorta di richiamo pubblicitario, mentre nei fatti potrebbero realizzarsi tutti i presupposti del Nuovo Ordine Mondiale all'insegna dell'ecumenismo monetario.
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