Note sul copyright - Parte I

Dove si tenta, partendo da aneddoti e considerazioni, di trarre spunti per analizzare la situazione, senza farsi prendere la mano dall'emotività.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 21-04-2001]

Con la presente desidero dare il mio (modesto) contributo alla discussione in tema di copyright, che da sempre trova un ampio sostegno su Zeus News, recentemente rinnovato grazie agli interventi di alcuni lettori. A premessa fondamentale rivolgo un sentito ringraziamento all'amico Enrico Bianco, per la preziosa consulenza giuridica e il proficuo scambio di idee.

Non è più una novità l'umiliazione inflitta dal Garante per la Pubblicità alla BSA, imponendole il ritiro del mendace spot pubblicitario dalla stessa voluto a sostegno di una vera e propria campagna intimidatoria: esso lasciava credere che copiare software costituisca reato sempre e comunque, tacendo l'esistenza di software liberamente utilizzabile e distribuibile (freeware, ma non solo).

Tale "confusione", a mio parere, può ben essere correlata a quanto correttamente osservato da Aaron Brancotti nelle Zeus News del 4 gennaio 2001: nel linguaggio comune, copyright (diritto di copia) e diritto d'autore sono percepiti come sinonimi, mentre, in realtà, non lo sono necessariamente, perché la locuzione "diritto d'autore" sembra riferisi al concetto di proprietà intellettuale. Si può copiare software senza averne diritto, ma senza tuttavia lederne la proprietà intellettuale, cosa che avviene solo quando ci si spacci per autori dello stesso.

Non a caso esiste un diritto morale d'autore, che conferisce all'autore medesimo la facoltà di rivendicare nei confronti di chiunque la paternità dell'opera, nonché di opporsi a qualsiasi "[...omissis...] mutilazione od altra modificazione, e ad ogni atto a danno dell'opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore od alla sua reputazione [...omissis...]" (art. 20 legge n. 633/1941). Si tratta di un diritto irrinunciabile ed inalienabile, che non si perde con la cessione dei diritti patrimoniali, come si evince dagli artt. 22 Legge n. 633/1941 e 2577 Codice Civile. Ma accanto a tale diritto morale, esiste quello patrimoniale allo sfruttamento economico dell'opera (diritto di privativa), il quale, non meno di quello morale, gode di un'energica tutela civile e penale. Si può anzi sostenere che nella moderna società capitalistica, il diritto d'autore viene in rilievo soprattutto per il suo contenuto economico-patrimoniale e sono proprio le lesioni al diritto di utilizzazione economica dell'opera d'ingegno, più che quelle alla proprietà intellettuale in sè e per sè, a determinare richieste pressanti di interventi repressivi, quando non di modifiche della legislazione volte a garantire una tutela ancora più ampia ed efficace del diritto di privativa (sempre, naturalmente, "nell'interesse generale", che grandi imprese e multinazionali tendono a far coincidere con l'interesse proprio).

Del resto è pratica comune, da parte dei Signori del Software, indicare la duplicazione abusiva con il termine "pirateria", comprendendovi tanto l'azione di chi duplica un gioco per utilizzarlo sul proprio pc, quanto quella di chi, più o meno "artigianalmente", produce un elevato numero di copie e le destina alla vendita, magari spacciandole per originali. Anche in questo caso si tratta, ovviamente, di una confusione voluta: il termine "pirata" suggerisce l'immagine di persona che non solo agisce da fuorilegge, ma addirittura fa della rapina e della violenza un vero e proprio stile di vita. Seppure con molte riserve, si può forse accettare che venga definito pirata chi duplica e vende software su supporti contraffatti (e ciò in ragione degli aspetti correlati alla frode fiscale, che rappresenta un danno per la Collettività); in nessun caso tale definizione può applicarsi a chi abbia duplicato e utilizzi programmi senza alcuna finalità commerciale o professionale.

La disinformazione, come sempre, giova a chi la crea e la gestisce: in questo caso consente di porre chiunque nella scomoda posizione di reo (in nessun caso è lecito copiare software) e caricare di un elevato significato morale (difesa dell'ingegno individuale dagli attacchi di spietati rapinatori) una azione mirata, in realtà, alla tutela degli interessi economici (profitto e opportunità di monopolio) di potenti organizzazioni industriali, spesso a base multinazionale. E scusate se è poco.

Altra bufala frequentemente spacciata per inconfutabile verità è il piagnisteo sulla quota di mercato potenziale perduta a causa del fenomeno della duplicazione abusiva: si parla, in genere, di percentuali non lontane dal 50%, con perdite di fatturato da capogiro. In altre parole, se non esistesse il fenomeno delle copie abusive, sostengono Lor Signori, si venderebbe (quasi) il doppio delle licenze attualmente vendute.

Al riguardo, ci si può interrogare sulla fonte di tali cifre: la copia abusiva, in quanto tale, non è registrata presso il produttore e, pertanto, la sua stessa esistenza può solamente essere ipotizzata, presumendo arbitrariamente che un comportamento accertato in alcuni casi sia ampiamente diffuso. L'unica base oggettiva per tali stime potrebbe essere la differenza tra il numero di pc venduti e quello di licenze concesse in una data area geografica; tuttavia, nulla garantisce che su ogni pc venduto sia installato necessariamente un dato software dal momento che è noto a tutti (tranne forse alla BSA) che è possibile implementare una pila software completa e di ottima qualità, dal sistema agli applicativi, con software liberamente riproducibile ed utilizzabile. Con GNU/Linux, Gimp, StarOffice, Netscape Communicator e MySql (ed è solo un esempio) si ha a disposizione una stazione di lavoro di tutto rispetto, in grado di gestire complessi task di automazione d'ufficio, grafica, database e accesso ad Internet: il tutto senza spendere un soldo in licenze.

Si ipotizzi l'esistenza di un mondo nel quale, esclusivamente per motivi tecnologici (non etici, nè politici, nè tantomeno legali), siano vere tutte le condizioni seguenti:

a) software installabile esclusivamente dai supporti originali
b) impossibilità di trasposizione o copia, da un pc ad un altro, del software già installato
c) possibilità di un numero massimo prestabilito di installazioni da ogni supporto originale
d) impossibilità di duplicazione dei supporti originali
e) possibilità di utilizzo del software, ancorché installato in rete, da un numero massimo predefinito di utenti

Quello che può sembrare il paradiso dei Signori del Software, in realtà non lo è affatto.

Si trascuri, per il momento, l'esistenza del freeware (e analoghi): in sostanza, non sarebbe in alcun modo possibile utilizzare software senza avere pagato una licenza; tuttavia, sono del parere che, anche in questo caso, la dimensione del mercato fruibile sarebbe molto lontana dalle stime di cui sopra. Quanti acquirenti di personal computer, sapendo di dover aggiungere al costo dello hardware quello (spesso decisamente spropositato) del software, avrebbero comunque acquistato o sarebbero disposti ad acquistare la macchina? Si può ipotizzare che verrebbero ancora effettuati gli investimenti (acquisti destinati ad essere inseriti in una attività capace di produrre un reddito tale da giustificare la spesa a supporto), ma si verificherebbe una contrazione significativa del mercato "consumer", con una conseguenza importante: non solo il fatturato non potrebbe comunque raggiungere le vette tanto agognate, ma anche il mercato dello hardware risulterebbe drasticamente ridimensionato.

Ora, si rendano più realistiche le ipotesi di partenza ammettendo la possibilità di utilizzare freeware: ciò potrebbe evitare la contrazione delle vendite di hardware, ma certo non contribuirebbe al fatturato dei Signori del Software. Anzi, sono convinto che molti utilizzatori di software a pagamento si sentirebbero incentivati a sperimentare quello gratuito, la cui ampia base di installato renderebbe più facile reperire supporto tecnico e altre forme di servizio. E' proprio assurdo pensare che il business tenderebbe a spostarsi dalla produzione di software a pagamento alla vendita di servizi per il software free? In fondo, le "distribuzioni" del sistema GNU/Linux sono un esempio tangibile.

Tutto sommato, tale scenario potrebbe anche rappresentare una mazzata letale per il circolo vizioso in cui da troppo tempo sguazzano i Signori del Software, in buona compagnia dei Signori dello Hardware: il rilascio di versioni sempre più pesanti (spesso per l'aggiunta di features tanto sofisticate quanto inutili) di software commerciale richiede macchine sempre più potenti per fare più o meno le stesse cose che si facevano in passato impegnando potenze di calcolo decisamente inferiori...

Inoltre, non va dimenticato che il fenomeno delle copie abusive ha consentito, nella seconda metà degli anni '80, l'affermarsi a livello di standard "de facto" di sistemi operativi, ambienti e applicazioni di qualità mediocre, che ora, grazie alla loro larghissima base di installato (e ad una certa pigirizia degli utilizzatori), frenano la diffusione di software migliori e, per di più, gratuiti.

E' poi sufficiente modificare il formato dei files gestiti dai programmi, rendendone impossibile l'utilizzo da parte delle versioni precedenti, per provocare un effetto "a catena" negli aggiornamenti (di software e hardware), e dunque nelle spese sostenute dagli acquirenti solo per poter continuare ad utilizzare un prodotto già pagato al momento dell'acquisto.

Detta considerazione smaschera il vero intento che si cela dietro la pratica, spacciata per benficienza, di regalare o vendere a basso costo licenze software alle università, alle pubbliche amministrazioni, ad enti pubblici in genere: un sacrificio economico iniziale verrà in breve tempo ripagato, perché i "beneficati" si troveranno costretti ad acquistare (a prezzo pieno) le licenze di aggiornamento e i computer più potenti necessari per utilizzarle. Per chi si trovi in tale spiacevole situazione, l'alternativa è giubilare il proprio sistema informativo e sostituirlo di sana pianta con uno radicalmente diverso (ad esempio basato su freeware): si tratta di una possibilità più teorica che reale, almeno in un'ottica di breve periodo.

Del resto, se non erro, qualche tempo fa un giornalista statunitense dimostrò che una nota multinazionale del software iscriveva nelle uscite del proprio conto economico come "beneficienza", traendone cospicui vantaggi fiscali, le licenze donate a scuole ed altre istituzioni: peccato che esse fossero valutate al pieno prezzo di mercato (e non a quello di produzione, di diversi ordini di grandezza inferiore)...

Strettamente connessa al copyright è la brevettazione degli algoritmi, da tempo consentita negli Stati Uniti e in favore della quale i Signori del Software, pare, stanno esercitando pressioni presso il Parlamento Europeo. Brevettare un algoritmo significa impedire a chiunque altro di utilizzarlo, salvo dietro pagamento, nei programmi da se medesimo scritti; in teoria, dal momento che la normativa sui brevetti non autorizza l'uso inconsapevole delle invenzioni brevettate, ogni programmatore dovrebbe conoscere con precisione tutti gli algoritmi coperti da brevetto, per evitare ritorsioni a livello legale da parte dei detentori dei cosiddetti "diritti", qualora ne utilizzasse o ne "reinventasse" alcuni, anche in buona fede.

Impossibile non ripensare alle osservazioni di poc'anzi sulle violazioni dell'etica e della morale perpetrate da chi copia software, magari free :-).

Non bisogna però cadere nella tentazione di affermare che un comportamento poco ortodosso di altri giustifichi il nostro pari agire: si tratta piuttosto di capire quali sono i vincoli imposti dalla legge vigente e proporre, per quanto possibile, alternative concrete e costruttive.

Continua...

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