L'ideologia del copyright si è impadronita delle nostre menti. Per vincerla, dobbiamo rivoluzionare il nostro approccio al lavoro, al guadagno, alla libertà.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 05-10-2004]
Giorgio per me è più di un amico: è un commercialista. Una persona che ti dà affidamento, ti riporta sulla terra quando i tuoi progetti sono già in orbita pericolosa. Puoi scommettere sulla sua serietà come sulla presenza della penna di marca nel taschino della sua camicia. Una roccia, insomma. Per questo ci sono rimasto male, l'ultima volta che ci siamo incontrati.
"Ti ho invitato a pranzo", ha detto Giorgio, "perchè devo parlarti di una mia idea. Ho inventato un nuovo tipo di copertura per l'asse del water. Igienica, tascabile, pratica, monouso. È in lattice e potrebbe essere distribuita con delle macchine automatiche, come quelle delle sigarette e dei preservativi."
Già, dico io, bella idea. Ma tu non sei un produttore di manufatti in lattice, sei un commercialista. In cosa posso esserti utile? "Tu che giri il mondo" ("?" n.d.r.) "non conosci qualcuno a cui vendere l'idea? Naturalmente ci sarebbe un compenso anche per te."
Ma il mio disagio non è finito qui: sul TG2 va in onda un servizio su un presunto episodio di plagio letterario. Si tratta nientemeno della saga di Harry Potter, che ha avuto tanta fortuna nei libri, nel cinema e nel merchandising correlato.
La scrittrice Joanne Kathleen Rowling pare abbia copiato l'idea da "The Books of Magic", un fumetto, apparso nel 1991, vale a dire sei anni prima della pubblicazione del libro "Harry Potter e la pietra filosofale". Il protagonista del fumetto è, come quello del libro, un apprendista maghetto che viene avviato ad una scuola di arti magiche. La coincidenza di circostanze lascia adito a pochi dubbi.
Spero di non essere stato l'unico a chiedermi: "e allora?". Io non ho letto i libri della Rowling, ma immagino che il successo ottenuto tra i suoi giovani lettori sia dovuto a come sono stati scritti, alla caratterizzazione dei personaggi, alla resa dell'ambiente magico, alle emozioni che hanno suscitato. E non all'idea originale del bambino che va a scuola di maghi.
Invece, il servizio del TG2 si conclude dicendo che Neil Gaiman (l'autore del fumetto) non ha preteso alcun diritto dalla scrittrice nè dalla Time Warner, produttrice del film e della miniera d'oro collegata ad esso. "Perché è un gentiluomo", dice la giornalista, ma lascia leggere tra le righe: "Perché è un pirla".
È un ritornello ricorrente: il lavoro serio, onesto, noioso, non piace a molti. Parecchie persone considerano disdicevole guadagnarsi pagnotta e pensione redigendo modelli 740, consegnando pacchi o avvitando bulloni. È faticoso, è avvilente. Meglio, molto meglio, stare sdraiati al sole in una spaggia tropicale, mentre si contano i soldi guadagnati taglieggiando chi suona una sequenza di dieci note inventata da tuo padre mezzo secolo fa.
Il sogno dell'idea geniale, che ti può regalare fama e tranquillità economica senza fare fatica, fa parte ormai della nostra cultura, se lo troviamo nel cinema, nella letteratura e nella vita di tutti i giorni. Poco importa se è lontano dalla realtà (tutti i geni, compresi Leonardo ed Einstein, furono grandi sgobboni).
Poco importa se il presupposto di questa ricchezza è un diritto di tipo feudale, ingiusto e parassita. Se questo comporta sbarramenti all'innovazione, alla circolazione delle idee, alla libertà di espressione (un clima ben differente da quello che ha generato Leonardo ed Einstein). L'importante è che ogni tanto si avveri per qualcuno, come le favolose vincite della lotteria.
Di fronte alla potenza di questo sogno, alla remota eventualità che, un giorno, ci accada qualcosa di simile, la maggior parte di noi mette da parte alcuni principi fondamentali dell'etica occidentale. Intendiamoci, non sto parlando dei principi del pensiero di sinistra, come l'uguaglianza e la solidarietà, ma dei capisaldi della morale di destra, come la sana competizione e l'emergenza del più meritevole.
Di questi capisaldi, Giuliano Urbani, e con lui tutta la destra di cui è espressione, non sa che farsene, preoccupato com'è di non spiacere al potentato che lui difende. Non basta, però: il nostro ministro preferito è arrivato a vantarsi del proprio decreto, uno dei maggiori flop della presente legislatura, come fosse un successo politico.
Segno che sa di godere della complicità di milioni di persone che, oggi, vivono del sudore della propria fronte, ma che domani, non si sa mai, potrebbero avere qualche idea geniale. E camparci tutta la vita.
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